mercoledì 26 settembre 2007

shhh

Meno male, meno male, meno male! ..Uffff

giovedì 20 settembre 2007

Il semplice mondo dei piccoli

Vorrei postare, stasera, la cosa più dolce, o meglio, la poesia più dolce che sia mai stata scritta per me. S'intitola:

Dedica ad Emi

Dedica a un'amica speciale,
siccome le dediche non si fanno solo a natale
io te la scrivo dal più profondo del cuore,
quindi capirai che non son solo parole.
La tua simpatia
ti ha resa amica mia,
quando noi non siamo insieme
io soffro mille pene,
nel momento il cui mio padre è mancato,
tu mi hai sempre pensato,
quindi io ti ringrazio e ti abbraccio da lontano,
e sarò felice quando ritorneremo mano nella mano.


:)



questa poesia è stata scritta da Alessia, la bimba del mio cuore, che ha soli otto anni. E ora sta ad Arezzo, da nemmeno un mese. Non basta un biglietto del treno e un paio di giorni al mese insieme. Si abituerà, lo so, perchè i bambini si abituano a tutto. Io spero solo che sia felice e che non guardi Caserta come un tabù. Spero che riesca a ritrovare il bello anche lontana nonostante io, dal profondo del mio cuore maligno, vorrei che andasse tutto storto...per vederle tornare al più presto, qua. Dove c'è casa.




Post verde. Come la speranza.

domenica 16 settembre 2007

Ma insomma Rebecca ce ne vogliamo andare?

Allora, vi racconto una cosa.
Ieri sera, mi avvio verso le dieci al Sud, locale casertano dove lavora la mia migliore amica. Mi avvio con una torta doppiostratonutellapanna e 5 bottiglie di negroamaro più due bianco dolce frizzante che è quello che piace a me. Arrivo e vedo sta bimba, che vi giuro era un pò troppo bella, Rebecca, tre anni di scricciolo, figlia di un ragazzo e una ragazza che hanno un negozio di tatuaggi vicino la mia scuola, e che quindi conoscevo. La vedo giocare con un pony, e io avevo una giraffa. Non riuscivo a resistere.
Insomma fino a mezzanotte Pioggia (il pony) e Nuvola (la giraffa) hanno giocato assieme, hanno sconfitto i nemici (la ciotola del cane che abita fuori al Sud), abbiamo giocato a rincorrerci, a chi prendeva prima la palla. Alla fine ci siamo sedute per terra, che eravamo un pò stanche e mi guarda con quegli occhi magnifici. Arriva sto papà da dietro ipertatuato e con la faccia mpò cattiva, che in realtà vicino la piccola Rebecca si scoglie, e ci cazzea, che non dobbiamo metterci sedute a terra, perchè teniamo le gonne e "voglio vedere quando poi vi brucia". Ci pensiamo su e ci alziamo. Riniziamo a giocare. Per mezza notte sono arrivati tutti i miei amici, ma io non potevo tradirla. Avevo trovato un'amica. Arriva di nuovo il papà che dice "MA INSOMMA REBECCA CE NE VOGLIAMO ANDARE?". Ci giriamo, Rebecca e io, e insieme "ancora cinque minuuuuuti". Il papà ride, prima poco poco e poi mi rende la barzelletta del sul, inizia a ridere che gli vengono le lacrime, va vicino la moglie con una mano sulla pancia e con l'altra che indicava me, la più grande mi ha chiesto altri cinque minuuuuti, altri cinque minuuuuti hai capito. La moglie ride, l'amica della moglie ride, l'amico dell'amica ride, i miei amici guardano la scena e ridono, io sono stata l'elemento della serata, insomma. Tutti a prendermi in giro, ma io ho una nuova amica, e si chiama Rebecca, ed ha tre anni, e credo sia un pò troppo bella e simpatica. Love.

mercoledì 12 settembre 2007

Déjà vu



Non ci volevo stare da sola, stasera. E questo è un déjà vù. Ah, ho tagliato tanto i capelli.

venerdì 7 settembre 2007

Diamoci tregua

Ripartiamo da capo. C'è chi mi vede più serena, chi più incazzata, chi più esaurita. Riesco a sentire nella stessa giornata di poter schiacchiare tutto con due dita, debole, anche più sicura del normale, in balia delle situazioni. Se non si è capito niente, bene! Nemmeno io ho capito granchè, però mi capita quanto di più strano si possa immaginare. Dura 10 minuti, o anche mezz'ora, a volte mi rimane per tutta la giornata quella sensazione. Mi spiego...io parlo, faccio qualcosa e all'improvviso mi sembra staccato. Quello che faccio, sono io a farlo ma non a deciderlo. No, non è proprio così, riprovo. Sono io a farlo ma quando lo faccio sembra che non sia stata io, sembra che io guardi non dal punto di vista dei miei occhi, parlo e sembra che io mi stia ascoltando. Non m'è chiaro neppure, so solo che mi disturba e che un pò mi fa paura. Per minuti e minuti interi mi vedo da fuori, mi ascolto da fuori. Ma non riesco a non essere tranquilla: le cose che faccio le compio in modo pacato, senza fretta, sono anche abbastanza felice, poi all'improvviso ho paura e credo anche di essere un pò faccia di cazzo. Figurarsi che mi sento ancora più faccia di cazzo da quando l'ho detto a mamma. Ma dovevo dirglielo per forza dato che mentre faccio delle cose normalissime mi viene da piangere. Mica sempre eh, prima era sempre, ora sono anche un pò felice...però ve l'ho detto, passo delle brutte mezz'ore. Non so cosa sia. Non so a chi rivolgermi. Non so se è normale. So che anche raccontarlo è inverosimile, mi tranquillizza il fatto che 'sto blog non lo legge nessuno. Per provarlo:
gnegnegneeeeeee siete tutti deficientiii
gnegnegneeeeeee e vi puzza anche il culo
aaaaaah aaaaaaaaaah.
Tanto non lo leggete. Nella foto, io quest'inverno, guardatemi guardatemi guardatemi!

venerdì 31 agosto 2007

Oceano mare e l'amore, secondo me.

Sera. Locanda Almayer. Stanza al primo piano, in fondo al corridoio. Scrittoio, lampada ad olio, silenzio. Una vestaglia grigia con dentro Bartleboom. Due pantofole grigie con dentro i suoi piedi. Foglio bianco sullo scrittoio, penna e calamaio. Scrive Bartleboom. Scrive.

Mia adorata,
sono arrivato al mare. Vi risparmio le fatiche e le miserie del viaggio: ciò che conta è che ora sono qui. La locanda è ospitale: semplice, ma ospitale. E' sul colml di una piccola collina, proprio davanti alla spiaggia. La sera si alza la marea e l'acqua arriva fin quasi sotto alla mia finestra. E' come stare su una nave. Vi piacerebbe.
Io non sono mai stato su una nave. Domani inizierò i miei studi. Il posto mi sembra ideale. Non mi nascondo la difficoltà dell'impresa, ma Voi sapete - Voi sola al mondo- quanto io sia determinato a portare a termine l'opera che è stata mia ambizione concepire e intraprenfere in un giorno fausto di dodici anni fa. Mi sarà di conforto immaginarVi in salute e in letizia d'animo.
Effettivamente non ci avevo mai pensato prima: ma davvero non sono mai stato su una nave. Nella solitudine di questo luogo appartato dal mondo, mi accompagna la certezza che non vorrete, nella lontananza, smarrire il ricordo di colui che Vi ama e che sempre rimarrà il Vostro
Ismael A. Ismael Bartleboom

Posa la penna, piega il foglio, lo infila in una busta. Si alza, prende dal suo baule una scatola di mogano, solleva il coperchio, ci lascia cadere dentro la lettera, aperta e senza indirizzo. Nella scatola ci sono centinaia di buste uguali. Aperte e senza indirizzo. Ha 38 anni, Bartleboom. Lui pensa che da qualche parte nel mondo, incontrerà un giorno una donna che, da sempre è la sua donna. Ogni tanto si rammarica che il destino si ostini a farlo attendere con tanta indelicata tenacia, ma col tempo ha imparato a considerare la cosa con grande serenità. Quasi ogni giorno, ormai da anni, prende la penna in mano e le scrive. Non ha nomi e non ha indirizzi da mettere sulle buste: ma ha una vita da raccontare. E a chi, se non a lei? Lui pensa che quando si incontreranno sarà bello posarle sul grembo una scatola di mogano piena di lettere e dirle
-Ti aspettavo.
Lei aprirà la scatola lentamente, quando vorrà, leggerà le lettere ad una ad una e risalendo un chilometrico filo di inchiostro blu si prenderà gli anni -i giorni, gli istanti- che quell'uomo, prima ancora di conoscerla, già le aveva regalato. O forse più semplicemente, capovolgerà la scatola e attonita davanti a quella buffa nevicata di lettere sorriderà dicendo a quell'uomo
-Tu sei matto.
E per sempre lo amerà.

mercoledì 18 luglio 2007

Mal d'Africa

Penso sempre più spesso all'Africa, una sorta di nonsochè che mi spinge il cervello sempre lì. Sarà che le foto che ho comprato a due euro l'una, scattate da una ragazza in Kenia, ritraggono volti diversi. Ma quanto sono bianchi i denti e le unghia dei bambini africani? Com' è possibile avere occhi così lattei, così profondi? Se li guardi per tanto tempo, inizi a provare calore all'altezza delle spalle, vedi il sole che brucia e la polvere. E il loro sorriso squarcia il cielo. Pelle di cioccolato, narici dilatate al limite dell'immaginabile, piaghe della pelle per il sole, sole, sole, spalle larghe o spalle strette, gambe veloci, piedi fulminei. C'è un pezzetto dell'Africa che mi chiama, me lo sento. Non è stato un caso incontrare quella bancarella, quella ragazza, quella giornata. Reduce da lunghi mesi lì, pronta a ripartire. Datemi un anno per sistemare la mia vita, per concludere le mie cose. Voglio vedere quei bambini, voglio lavorare con loro, e mangiare niente come loro, e dormire con le mosche come loro, voglio sentire il peso del sole addosso, e voglio un sorriso enorme come il loro. Voglio braccia aperte come loro, colori ovunque, voglio lottare e costruire e sporcarmi e sporcarmi e sporcarmi di terra e sole. Datemi un anno, che provo anch'io a spedire la domanda. La ragazza dice che ho possibilità. E non l'ha detto solo per quell'agendina. Un mese, voglio provare cos'è vivere un mese così e poi voglio decidere come continuare. Voglio vedermi forgiata da un'esperienza simile e crescere.


Guardo i bambini d'Africa, hanno gli occhi nel ventre. La misura della disperazione dell'Africa è data da quei bambini che non piangono mai. Nessuno di noi, sfiorata quella disperazione, ha il diritto di vivere come se niente fosse.